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Preistoria Futuribile

Anonimo del XXI secolo

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non la Bici che va all'Arte
ma
l'Arte che va in Bici

Volgeva al termine il secondo millennio
dell'Era Volgare.
A scala più vasta,
il ciclo cosmico del Kali Juga
era agli sgoccioli.
I Maja concordavano
nel computo epocale degli Indù:
la decadenza umana ormai volgeva al termine.
Nel suo piccolo, l'Età del Petrolio
era già pure in avanzato declino.

In quest'epoca oscura, i ciclisti,
da sempre oggetto di scherni e soprusi
da parte della classe automobilistica,
cominciarono a riunirsi ed aggregarsi.

I raduni ciclistici avvenivano periodicamente,
solitamente a scadenze mensili,
in qualsiasi città del pianeta
afflitta dal traffico automobilistico.

Quei ciclisti, nelle loro riunioni,
non facevano altro
che pedalare in massa nel traffico urbano.

La massa ciclistica di questi raduni
imponeva il proprio flusso alle automobili,
costrette ad adeguarsi al ritmo pedalante
di quel molteplice corpo in movimento.

Rispetto alla realtà quotidiana del traffico,
questo era un evento eccezionale:
normalmente, il ciclista isolato
era oggetto di scherni e soprusi
da parte della classe automobilistica.
Non mancavano i ciclisti tra le vittime
dei cosiddetti "incidenti stradali".

Normalmente, l'individuo auto-munito
sfoggiava la potenza del proprio motore
e la bellezza della sua carrozzeria.
Ma eccezionalmente, in occasione dei raduni,
la massa dei ciclisti convenuti
sfoggiava puramente l'equilibrio,
precario e fragile ma collettivo
del suo molteplice corpo in movimento.

Gli storici, ormai, si rassegnano al fatto
che l'ideologia dei raduni ciclistici,
(noti col nome globale di "
Critical Mass")
non è per nulla univoca.

In assenza di partiti, chiese o associazioni,
che detenessero e che proclamassero
un Verbo Ufficiale di Critical Mass,
qualunque ciclista parlava, scriveva, fotocopiava,
stampava o pubblicava su Internet
la sua personale interpretazione
di questo movimento globale,
probabilmente sociale, persino politico...
ma indubbiamente ciclistico.

Alcuni documenti proclamano
valori ecologico-ambientali.
Altri si oppongono
allo stra-potere dei petrolieri multi-nazionali.
Altri rivendicano
piste ciclabili e bici-parcheggi attrezzati.
Altri interpretano i raduni ciclistici
come modelli anarchici di autogestione
o come
laboratori collettivi di esperimenti psico-geografici.
Altri rintracciano in questi cortei
il carnevale:
pagano e popolare, dionisiaco e universale,
coincidenza di impulsi:
giocosi e sovversivi, artistici ed erotici.
D'altra parte, non mancavano
certe icone ciclistiche di Stalin,
indubbiamente apocrife ma ugualmente venerate.
I deliri non avevano limiti
nell'età più sfrenata dell'immagine
e della ossessiva documentazione.

Oggi che la Metropoli si è felicemente estinta,
insieme con lo Stato e gli Autosauri,
oggi che lo spettacolo e l'immagine
non sono più il fine ma il mezzo del Gioco,
oggi che il Gioco è la faccenda più seria
con la quale ciascuno si deve confrontare,
risultano difficili a comprendersi
le deliranti ideologie ciclistiche
etichettabili "critical mass".
Resta intatta la nostra gratitudine
per quei duri che iniziarono a giocare.

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