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Introduzione

Luciano Ghersi, Didattica Tessile
Note psico-pedagogiche di un Incompetente

Sono stato bambino, mi è piaciuto e lo sono rimasto.
Giuseppe Pinot Gallizio

La più subdola delle tentazioni è quella di servire.
 Mohandas K. Gandhi

L'orrido nodo di serpi dei legami di sangue.
 Paul Eluard

 Chiedo scusa per l'eccesso di maiuscole ma servono a indicare parole che designano istituzioni o ruoli ufficiali.
Precariamente, sono un Tecnico di Laboratorio in Centro Diurno di Socializzazione e Occupazionale. Al di fuori di questo sarei tessitore-a-mano, definibile Artista o Artigiano a seconda delle varie situazioni. Così come non posso vantare Formazioni scolastiche in belle arti, arti tessili, moda, design, non ho neppure avuto alcuna Formazione come Operatore, Educatore o Animatore nell'arido campo Socio-assistenziale. Ma siccome ho l'obiettivo di "tessere tutto, tutti e dappertutto", ho provato di tessere anche (con) i Disabili. Nessuno è perfetto, siamo tutti disabili in qualcosa..... ma "Disabile" è un termine ufficiale che assoggetta individui sottoposti a una certa custodia istituzionale (Nota 1).

Ciascun Disabile o, per dir meglio: ciascun Utente di Centri e Servizi per Disabili, è un diverso individuo. Può inoltre, aver vissuto le più varie tragedie socio-psico-sanitarie. Nel ruolo di Tecnico per la tessitura, non sono autorizzato a consultare le schede socio-cliniche di chi venga assegnato al mio Laboratorio. Ma siccome ho già avuto anche i ruoli di figlio e di padre, ho notato una costante nel comportamento di tutti gli Utenti: è un comportamento infantile. Il ruolo di Bambino è quasi universale tra i Disabili che sono, difatti, persino chiamati "i Ragazzi".

In genere, chi è marcato "Disabile" si comporta da eterno fanciullo. Ne risultano effetti indubbiamente gradevoli, per sé e per gli altri. Ma, fuori dai regni della fantasia e dell'emotività senza censure, il bambino non gode reali poteri di scelta. Può imporre realmente la sua volontà ricorrendo soltanto al ricatto. Allora: "oddio non mangia, oddio di sente male, oddio non ci riesce...". Così noi adulti lo aiutiamo e lo curiamo, lo imbocchiamo, gli allacciamo le scarpe, gli imponiamo la maglia di lana sennò prende freddo, lo assistiamo quando deve andare al cesso oppure a letto. Forse il bimbo potrebbe già cavarsela da solo, però preferisce non perdere le sue comodità e soprattutto, il suo affezionato personale di servizio con la sua rassicurante protezione. Il bambino normale poi scopre i piaceri dell'indipendenza. Così cresce, in qualche modo. Chi fatica di più a crescere, sono proprio i genitori. Rinuciando alla loro onnipotenza affettiva, culturale e tecnica, nei confronti dei loro figlioli, non avrebbero forse appassionanti alternative

 Il genitore di un bimbo disabile (o piuttosto "disabilitabile") non corre il rischio di essere lasciato. Avrà per sempre il suo figlio piccino, la sua suprema ragione di vita. L'età rende certo più gravoso il rapporto ma la Pubblica Assistenza contribuisce alla sua manutenzione. Lo Stato che, per mezzo dei suoi Educatori già detiene i figli "normali" dentro gli isituti scolastici, inquadra i sub-normali entro strutture sub-didattiche, ma ugualmente provviste di carte e matite che tenegano gli allievi seduti a tavolino. Ricalcando l'apparato scolastico, si riconferma così nel Disabile il suo eterno stato di Minore: non ha ancora lasciato la scuola né la lascerà mai, proprio come la sua mamma... In effetti si tratta di una scuola materna: pure l'Educatore è investito di ruoli genitoriali, sia affettivi che di manutenzione.

Prescindendo da precaretà e da mobilità occupazionali, pure gli Educatori, così come i genitori; non lascerebbero mai i loro assistiti che, anno dopo anno, ripetono la classe... Perciò, più che di allievi, qui si tratta appunto di Assistiti, già assuefatti nell'ambiente familiare a richiedere assistenze, forse non necessarie ma certamente gratificanti. Certo, è di molto più semplice e sbrigativo allacciare le scarpe a un bambino piutosto che insegnargli ad allacciarsele da solo. Ancor peggio col Disabile, che è incapace per definizione: i suoi limiti (naturali o istituzionali) sono permanenti. L'amara verità è che lui non può crescere mai, davvero e del tutto. Allora, perché mai preoccuparsi di renderlo più autonomo? Ciò cambierebbe forse, il suo destino? In fondo, la Famiglia e lo Stato richiedono solo di "contenerlo" senza troppi conflitti, con l'eventuale sussidio dei farmaci.

In questo inevitabile contesto, come può funzionare un
laboratorio artigianale? Quale può essere la sua vera funzione? Certamente non è la produzione però, come ambiente strutturato dove trascorrere il tempo, il Laboratorio è un contenitore gradito ai Disabili. Qui, in qualche modo, si impegnano in qualcosa di concreto e per di più, si gratificano, nell'illusione di fare "cose da grandi". Qual'è il ruolo del Tecnico? Se la funzione del laboratorio è quella appena enunciata, il Tecnico può essere arruolato come fornitore di semi-lavorati ai Disabili, che li rifiniranno come possono, con le operazioni più elementari e con l'assistenza degli Educatori. In sostanza: un ulteriore rituale occupazionale.

Personalmente, ritengo invece che il Laboratorio possa svolgere una funzione educativa, non intendo educazione scolastica o professionale ma puramente umana. Dati i limiti (naturali o istituzionali) degli educandi, non mi aspetto di ottenere degli "adulti normali" ma siccome "educare" (dal latino "e-ducere") vuol dire "guidar fuori", c'è sempre qualcosa che si possa portar fuori. Come Tecnico, mi riferisco qui soprattutto a quelle abiltà manuali (ma più globalmente: corporee) che non si sono mai sviluppate a causa di quel gioco familiare (e poi assistenziale) di richiedere aiuti non necessari. Inoltre, il Disabile potrebbe trovare nel Laboratorio identità e rapporti, che difficilmente esperisce in famiglia e nella scuola materno-assistenziale cui s'è accennato prima.

Laddove la scuola non esiste, si impara il mestiere senza libri né lezioni. Senza troppe parole, il mastro artigiano trasmette al suo ragazzo nuove mansioni sempre più complesse. Il ragazzo si inzia guardando e aiutando, in una parola: assistendo. Quest'assistenza attiva è di rado presente nel Disabile, come del resto, nella gente normale che non faccia apprendistato di bottega. Bisogna incantarli, per farsi guardare. Del resto, la TV non educa lo sguardo ad aprofondirsi nelle inquadrature fisse. Il setting di "assistenza al maestro" è il fondamento della pedagogia popolare e tradizionale. Ma questa interessa assai poco agli studiosi, i quali hanno ovviamente subìto una loro istruzione scolastica. Come illustre eccezione qui si cita, in nota, Marcel Mauss (Nota 2).

Come artigiano, posso affermare tranquillamente il valore universale delle arti nei campi culturali e pedagogici, senza distinguere tra arti maggiori o minori, intellettuali o meccaniche. Le società tradizionali hanno sempre una complessa metafisica, questa inquadra rituali complessi, che a loro volta inquadrano la struttura sociale e ogni evento quotidiano. Da una parte, qui si usano trasmettere i simboli più astratti con lo stesso sistema artigianale di assistenza ed esperienza. D'altra parte, l'artigiano riferisce abitualmente le sue pratiche ai simboli più astratti. L'artigiano moderno si confonde con l'artista proprio perché ha le chiavi d'accesso a qualche segreto della creazione, dove si fondono spirito e materia.

Tornando ai Disabili in Laboratorio, ogni piccolo progresso nelle loro attitudini manuali-corporeee avrà certo implicanze psicologiche, che affido volentieri agli Esperti. Lascio a loro l'Homo Sapiens, mi attengo all'Homo Habilis, anche se più primitivo.

Luglio 2003



 1) Vedi: Operatori e Operati Sociali, tessereAmano 5/2002, anche su www.hypertextile.net/GHERSI/testi/operat.htm .

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 2) In tutti gli elementi di cui si compone l'arte di utilizzare il corpo umano, dominano i fatti di educazione. La nozione di educazione poteva sovrapporsi a quella di imitazone. Esistono infatti, bambini in particolare, che hanno facoltà molto grandi di imitazione, altri che le hanno molto deboli, ma tutti passano attraverso la stessa educazione, così che ci è possibile comprendere la serie dei concatenamenti. Ciò che ha luogo è una imitazione meravigliosa. Il bambino, l'adulto imitano atti che hanno avuto esito positivo e che hanno visto compiere con successo da parte di persone in cui hanno confidenza e che esercitano un autorità su di loro. L'atto si impone dal di fuori, dall'alto, sia pure un atto esclusivamente biologico riguardante il loro corpo. L'individuo trae dall'atto eseguito davanti a lui o insieme con lui la serie dei movimenti di cui esso si compone. E' appunto, in questa nozione di prestigio della persona che compie l'atto ordinato, autorizzato, sperimentato, in rapporto all'individuo che lo imita, che si riscontra l'elemento sociale.Nell'atto di imitazione che segue si trovano l'elemento psicolgico e quello biologico.

Marcel Mauss, Le tecniche del corpo. Journal de Psicologie, 1936, traduzione in: Teoria generale della magia, Einaudi 1965.

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