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Il Corso o Bottega di tessitura con telai a mano
impiantato per una sola settimana
e concluso con la installazione monumentale su Leopoldo II
in Grosseto

TRASH HANDWEAVER /2Ho proposto agli allievi non un corso di tessitura ma la simulazione di una bottega d'arte. Del resto, l'iniziativa di CelTraCon per il Comune di Grosseto si intitolava proprio: "Maestri di Bottega", non "maestri di scuola", né "professori di belle arti". Ero del resto affatto inesperto di scuole d'arte, non avendone mai frequentate.
Fu dunque bottega. Ai vecchi tempi, il Signore o il Comune promossero la propria immagine ordinando lavori agli arazzieri. Questi maestri, in genere nomadi, venivano a impiantare la loro bottega direttamente nel sito della committenza. Colà tessevano grandi panelli, preziosi e mobili, da esporre in caso di cerimonie: processioni, vittorie, incoronazioni. Di preferenza, intramati di allusioni che confermavano e giustificavano il governo (il gran dio nel centro, che sembrava Giove, era in realtà Luigi XIV: il Re Sole). La grafica pubblicitaria esiste da sempre, forse dal tempo dei graffiti rupestri. Ma oltre ai messaggi simbolici, il Potere costituito si affermava nell'arazzeria dimostrando la sua capacità di investimento in opere così preziose che nessun privato avrebbe mai potuto permettersele. Grandi opere da esporre al popolo, benignamente.
Per questa "bottega" di Grosseto, ho così simulato una committenza: il Signore (il Comune) è diventato Canapone, cioè la grande statua di Leopoldo II che troneggia in mezzo alla piazza. Quale piazza? "la" piazza della città. Ogni città deve avere una piazza, anche se ormai è soltanto virtuale, televisiva. Per fortuna, nei centri minori, ancora sopravvive una piazza reale. Grosseto ha la piazza del Duomo che però (per vicende forse massoniche) oggi è targata come Piazza Dante.
Il tessuto da esporre nella piazza non sarà in fili di oro o di seta ma tutto in materiali modernissimi: i rifiuti. In particolare: quelli che ingombrano le spiagge di questo capoluogo a vocazione turistica. Oltre l'accenno all'inquinamento, l'accento si pone sul riciclaggio: una operazione propria dell'arte moderna e delle società terzomondiali, ma che dovrebbe pur conquistare il quotidiano degli abitanti metropolitani.
Un ulteriore messaggio (o significato) è la proposizione di una tecnica artigianale tradizionale (la tessitura a mano) nell'attuale contesto industriale. Si crede, tra l'altro, che i tempi di produzione al telaio siano lunghissimi. Non è così vero, comunque sia, la mia personale ricerca in questo capo è sempre stata di accelerare questi tempi, per sottrarre al lavoro la monotonia che mortifica gli impulsi creativi. Qui appunto, in soli 5 giorni, con mano d'opera affatto digiuna di tessitura, si producono 8 metri quadri.
Ogni studente di questo corso di tessitura ha dovuto così assumersi l'umile ruolo dell'apprendista: il mastro di bottega non era lì per insegnare ma per assegnare a ciascuno il lavoro che fosse in grado di compiere. Il primo lavoro per tutti è stato di andare per le spiagge a raccogliere né conchiglie né legni contorti bensì rifiuti della nostra umanità (materie plastiche fibrose o sfibrabili). La ricerca si é poi trasferita al mercato della frutta per recuperarvi le cassette, destinate alla cernita dei reperti accumulati.
Soltanto dopo lo stadio della raccolta, subentrava il progetto. Prese le misure al monumento, si è realizzato uno spolvero in scala e su questo si è stabilita la dimensione dei teli che, una volta assemblati, esso avrebbe indossato.
Nella piazza antistante la Bottega (che già aveva accolto l'esposizione collettiva dei reperti) si è tirato l'ordito, cioè la serie di fili "verticali" che dovrà accogliere la trama o serie di fili "orizzontali" (secondo i termini dei cruciverba). Segue la fase meticolosa dell'infilaggio : l'inserimento, filo per filo, di tutto l'ordito nei meccanismi del telaio (licci e pettine).
Per essere riciclati come trama, i reperti di spiaggia vengono sottoposti a cernita, eventualmente lavati, liberati da corpi estranei, poi sezionati in strisce o divisi per réfoli.
Gli allievi alternano questo lavoro con la tessitura vera e propria della trama, sicché ogni telaio cambia di mano continuamente. L'interferenza del mastro nelle scelte materiche e cromatiche è minima: egli si limita ai consigli tecnici indispensabili, fomentando libertà di esperimento e di improvvisazione, con il solo divieto di ripensarci (cioè di disfare ciò che sembra "brutto").
Sicché, a turno, ciascun allievo si trova a prolungare lo stesso tessuto, creando una sua personale porzione, senza soluzione di continuità con quella precedente. Questa però, rimane ancora sotto i suoi occhi, a fornirgli ulteriori suggerimenti. Poi scompare via via, arrotolandosi nel rullo (subbio), sicché toglie il disturbo di imporre al tessitore una qualsiasi armonia complessiva. Infatti il tessuto non deve obbedire necessariamente a un disegno precostituito.
Ultimata la tessitura dei vari teli, essi vengono cuciti tutti insieme. Il buco centrale del poncho (zona critica per le tensioni che deve sopportare) viene rinforzato con un provvidenziale reperto: un canotto di gomma, il cui orlo poi sporge alla vista come un colletto (con funzione aggiuntiva di decoro). Il resto della chiglia, privato del fondo, rinforza le spalle dall'interno (ha cioè una funzione strutturale).
Durante tutte le fasi di lavorazione, uno spazio della Bottega è rimasto aperto al pubblico. Così come fu aperto per la grande processione del Patrono. In questa occasione, che riempie di folla la piazza del monumento, il suo piedistallo venne completamente rivestito da una sorta di palio o stendardo, cioè da un'opera personale del mastro risalente al 1982 (Titolo: Da Natale alla Befana). Si tratta di una striscia multicolore che, quotidianamente, fungeva da insegna nella piazza antistante la Bottega, sospesa per tutta la sua lunghezza di 2O metri.
Chi entrava a visitare la bottega, trovava affissi nell'ingresso una tabella di informazioni sul progetto e il grande disegno del monumento, rivestito da una sagoma del Poncho.
Per pubblicizzare la vestizione del monumento, nella Bottega stessa viene composta a computer una locandina da fotocopiare. Gli allievi intervengono sopra ogni esemplare applicandovi, con la graffatrice, qualche campione dei vari materiali appena usati in tessitura. Creano così dei segnali cromatici e un supplemento di informazione. Poi s'incaricano di diffondere e affiggere il messaggio per la città.
Alcune di queste fotocopie "interventate" dagli allievi (e autenticate con il timbro del Maestro di Bottega, più quello comunale dell'Ufficio Affissioni) vengono conservate come documento e complemento della installazione.
All'ora stabilita, dopo un rinfresco, si esce di Bottega, reggendo tutti insieme il poncho spiegato e così in processione si raggiunge la piazza. Il poncho viene deposto come uno scendiletto davanti allo zoccolo del monumento. Questo viene circondato dagli allievi, che reggono in mano un grosso filo rosso: è il cordone di sicurezza per il pubblico.
La sommità della statua viene raggiunta con delle scale e in pochi minuti il poncho è indossato. Segue immancabile foto ricordo davanti al monumento, a cura della stampa locale.
Per rispondere alle domande dei cittadini, tutto il piedistallo viene allora caoticamente tappezzato con le solite locandine, dove c'è scritto chi, con che cosa, come, dove e in quanto tempo ha fatto il tessuto. Al perché lo si è messo lì in piazza, si risponde: "per farlo vedere". Tutti le ipotesi di ulteriori significati vengono accolte come plausibili. Leggendo sugli affissi tutti cognomi di gli allievi, si dissolve il legittimo sospetto d'intervento straniero (ovvero extra-grossetano). Si registra soltanto un caso di sdegno: in generale, l'opera ha un impatto gradevole, suscita un curioso interesse e soprattutto non è più percepita come spazzatura.
Allo scoccare della mezzanotte, la statua verrà spogliata di nuovo agevolmente.
Al rendiconto dell'operazione, occorre aggiungere che, negli ultimi giorni della Bottega, gli allievi hanno cominciato a trasferire l'esperienza, nella tessitura di un arazzo a cartone semitramico. Questa tecnica è assai più complessa: come trama non si usano più singoli materiali grossolani ma più fili di lane colorate. La si è potuta trasmettere agli allievi senza troppe gravezze teoriche, grazie alla pratica ludico-sperimentale concentratasi dapprima nel Poncho.
L'iscrizione a questa Bottega (inserita in un ciclo di 5 corsi d'arte differenti) era stata pubblicizzata con avvisi alle scuole, con un dépliant illustrato e con una mostra collettiva di opere dei 5 maestri. Essendo gratuito, il corso aveva ottenuto 50 iscrizioni (tra cui 4 maschi). Avendo a disposizione soltanto 3 telai, fu necessario convocare i candidati per un colloquio selettivo, da tenersi una settimana prima dell'inizio.
Già questo soltanto funzionò come filtro: di fatto si presentarono in 20 persone. Allora il colloquio fu trasformato in una lezione introduttiva, che esponeva il programma del corso: il suo svolgimento come vera Bottega finalizzata alla produzione del Poncho, le sue implicazioni teoriche rispetto all'arte moderna.
Ma soprattutto: il ruolo non di studente ma di apprendista, la frequenza di 8 ore quotidiane, compresi i festivi e la possibilità di straordinari (va qui ricordato che questo il periodo cadeva nella settimana di Ferragosto, dall'8 al 13,). Oltre a ciò, fu richiesto l'impegno alla ricerca individuale sul campo (cioè raccattare rifiuti) già a partire dai giorni successivi, ancora prima dell'inizio del corso.
Queste prospettive operarono spontaneamente una seconda selezione, sicché la Bottega poté contare su 13 presenze assai motivate. Dopo tre giorni di intenso lavoro, fu possibile stabilire dei turni di sole 4 ore quotidiane.
La Bottega occupò di fatto soltanto persone di sesso femminile, così ripartite come attività abituale: 1 Disoccupato, 1 Infermiere, 1 Liceale Artistico, 2 Studenti d'Accademia Belle Arti, 3 Universitari di Architettura, 2 Insegnanti di Applicazioni Tecniche, 2 Tessitori a mano. Ci si avvalse anche di un Marittimo in pensione, che trasmise preziose esperienze sul trattamento dei materiali da tessere (reti e cordami). Egli fu anche la guida di una ricca raccolta nell'area portuale di Civitavecchia. Questa trasferta fu necessaria dato che, perlomeno a Ferragosto, le spiagge italiane vengono pulite.
(Naturalmente, astraendo da questa Bottega, la questione di base non sta nella raccolta del rifiuto ma la sua produzione.)
95 .10 .10

STORIE DE Il PONCHO di Leopoldo II
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