Luciano Ghersi
L'Essere e il Tessere
il primo iper-testo sull'iper-tessitura
versione integrale del primo capitolo
(dall'edizione 1996)

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PIANO DELL'OPERA
i numeri tra parentesi quadre [>>] [<<] sono i collegamenti ipetestuali del libro


1.0 antipasto di scàmpoli

dove si assaggia la cucina dell'Autore e si offrono termini tecnici a chi sia digiuno di tessitura.

1.1 filo

1.2 strategia del ragno

1.3 versi protettivi

1.4 descrizione di un libro

1.5 descrizione di un monumento

1.6 descrizione di una città

1.7 descrizione di una esposizione

1.8 canto popolare

1.9 chiusa

note


1.1 filo

filo logico
filo del rasoio
filo di voce
filo di speranza
filo di luce
filo elettrico
filo a piombo
filo di ferro
filo d'oro
filo di perle
filo d'erba
filo d'acqua
filo di vento
filo della schiena

Il filo collega tutti gli stati dell'esistenza, fra di loro e al loro principio.[>> 5.6]

Guénon


1.2 strategia del ragno

1.2.1

Tessere non significa soltanto predestinare (sul piano antropologico) e riunire insieme realtà diverse (sul piano cosmico), ma anche creare, eprimere la propria sostanza, come fa il ragno che produce la tela da se stesso.

Eliade

1.2.2 fiaba

Nell'Africa dell'Ovest[>> 5.5 e 9.3], Kwaku Ananse è il protagonista delle storie di astuzia, come la Volpe da noi. Egli invece è il Ragno che ordisce astutamente mille intrighi. Quando gli Africani giunsero in America (in seguito alle note vicende) egli mutò sesso e persino specie trasformandosi in una vecchia zia: per equivoco fonetico da Ananse divenne Aunt Nancy.
Ma siccome anch'io come il Ragno ho una qualche esperienza della tessitura, non credo a una sua astuzia da Ulisse
[>> 4.2.1]. Così decisi di raccontare questa che secondo me è:
"la vera storia di Kwaku Ananse"
All'alba del primo giorno Kwaku Ananse si risvegliò sul suo ramo con un gonfiore al pancino e sporse il didietro per assecondare l'impellente bisogno
[>> 12.5]. Allora un colpo di vento se lo portò via e lui si trovò a dondolare attaccato a un filino e con la testa nel vuoto, finché non raggiunse uno stelo. Siccome quel volo gli era piaciuto, risalì sull'albero per accogliere il vento di nuovo. E sempre gli fila il pancino mentre che lui ricade, ridòndola, sale, si aggrappa ai fili già tesi, finché non si ritrova al centro di un bizzarro intrico che splende ai primi e radenti raggi del sole.
Arrivò allora la Mosca, intontita dal sonno ma già trafelata per le sue commissioni. Sicché volò a sbattere dentro l'intrico e, sveglia del tutto oramai, annaspava disperata tra i fili appiccicosi. Kwaku Ananse, sballottato dagli scossoni, scappò via dalla ragnatela e rimase ad osservare la scena da sotto una foglia tranquilla. Finalmente la Mosca si districò ma la tela era ormai tutta strappata ed il sole era salito: faceva un caldo africano, Kwaku Ananse se ne andò a dormire o piuttosto a sognare.
All'alba del secondo giorno Kwaku Ananse era già pronto sulla cima del ramo col suo pancino gonfio e, ora riprendendo il filo dei sogni, ora approfittando delle occasioni, ora travolto dalle circostanze, ritessé un intrico straordinario finché non ritornò il sole ad illuminarne i fili. E a svegliare anche la Mosca dormigliona che, alzatasi in fretta e furia, piombò nuovamente a capofitto dentro la rete, ripetendo il pasticcio del primo giorno. Ma Kwaku Ananse se n'era già andato per i fatti suoi.
Zampettò tutto il giorno alla ricerca di una situazione di rami e di steli che gli suggerisse qualche nuova acrobazia. Al tramonto del sole, quando ormai si era seduto per massaggiarsi gli otto piedini doloranti, se la trovò davanti agli ottomila occhietti: qui un tronco in dentro, lì un ramo in fuori, uno spigolo di roccia laggiù. Un perimetro a stella, un abbraccio ancor vuoto che pareva dirgli: "Tèssimi, tèssimi!". Si addormentò felice e quella notte non sognò.
E venne il terzo giorno. Con il pancino più gonfio che mai, Kwaku Ananse si arrampicò sopra il ramo più alto, planò sulla punta di un masso e sfregò come un archetto la zampina sul filo per saggiarne la tensione: la nota era giusta. Risalì un altro ramo e di lassù raggiunse un ceppo rinsecchito, incontrando a metà il primo filo. Riattraversò quell'incrocio da tutte le angolazioni possibili, poi congiunse tutti i fili saltando dall'uno all'altro in una spirale che si stringeva sempre di più.
Finalmente si ritrovò al centro, gli girava un po' la testa ma si sentiva così leggero...
Non c'era più nessun posto da raggiungere e difatti arrivò il primo sole ad accendere di luce quella rete nuovissima e strana, che però ricordava le nervature di foglia, i gusci di chiocciola , i gorghi del fiume... e tante altre cose che noi umani non distinguiamo, ma così familiari agli ottomila occhietti del ragno. Eppure Kwaku Ananse non era soddisfatto: mancava ancora qualcosa. Sentì avvicinarsi un ronzio e la Mosca, trafelata, si fiondò sulla tela che vibrò come un'arpa. Kwaku Ananse le corse incontro e la imbozzolò velocissimo in una bianca pallina.
Allora inventò la canzone che dice: "La conchiglia incontra la perla fra le otto zampe del sole..."
[>> 5.6] e cantando saltellava all'indietro per vedere l'effetto da distante. E fu buon per lui perché subito arrivò il Colibrì[>> 11.12] che si sgranocchiò la Mosca, frullando nel suo volo immobile tutti i brandelli di ragnatela. Inguattato tra le cortecce, Kwaku Ananse osservava stupefatto, con gli ottomila occhietti sgranati e quando il Colibrì si allontanò fischiettando, egli sbucò fuori e disse: "E' da provare anche questa."
Fu così che gli venne la fame di mosche.

1.2.3 versione dotta della fiaba precedente

Testo mi porta a tessuto, tessuto a tela. Ho sotto gli occhi un testo inedito del naturalista ginevrino Charles Bonnet, zio del fisico e geologo Horace Benedict de Saussure, e dunque qualcosa come un pro-prozio di Ferdinand de Saussure? Il testo riguarda la tela del ragno, ed io abbandono questa tela alle vostre riflessioni:
Voi dite: il ragno tende una tela per prendere delle mosche, dite piuttosto: il ragno prende delle mosche perché tende una tela. Il ragno ha l'idea innata della mosca? Sa che cadrà nella sua trappola? Il ragno tende una tela per soddisfare un bisogno; questo bisogno è quello di evacuare la sostanza serica racchiusa nei suoi intestini. Il bisogno è indubbiamente accompagnato da piacere, ovunque la natura ha unito il piacere e il bisogno. La figura e la struttura del tessuto sono i risultati necessari dell'organizzazione dell'insetto. Il suo corpo è il telaio che esegue l'opera:
[>> 12.4] ma l'anima sente i movimenti di questo telaio e gode di questi movimenti. L'intelligenza che conoscesse a fondo la meccanica del ragno, vedrebbe in questa meccanica la ragione dei raggi e dei poligoni della tela. Così, soddisfacendo il bisogno di filare, il ragno provvede, senza pensarci, alla sua sussistenza."
Bonnet amava sottolineare le parole, i suoi libri sono pieni di corsivi. Ma non è singolare il fatto di vedere qui sottolineate parole come: bisogno, piacere, figura, struttura?

Starobinski

Non è singolare il fatto che le altre sottolineature trascurate da Starobinski, siano sotto parole come: innata, organizzazione, ragione, telaio? Singolare costellazione o, come Adorno direbbe, verità. (1)


1.3 versi protettivi

Un nuovo studente si è presentato ai corsi del professor Faust, desideroso di apprendere la filosofia. Mefistofele si spaccia agevolmente per un docente (già si sa quanto il Demonio lòico fosse). E gli presenta così la filosofia o "fabbricazione dei pensieri"

MEFISTOFELE
La fabbrica dei pensieri è per davvero
come il telaio di un maestro tessitore
eccita mille fili una pedata
le navette schizzano qua e là
i fili fluiscono invisibili.
Ed ecco che arriva il filosofo
a dimostrarti che così ha da essere:
così era il primo e cosà il secondo,
il terzo e il quarto poi così e cosà.
Del mondo proprio tutti gli studenti
questo discorso hanno in grande onore
ma nessuno è diventato tessitore.

Goethe (trad. LG)


1.4 descrizione di un libro

o prefazione dell'edizione primordiale [<< 0.1], ove nemmeno stava all'inizio altrimenti non la legge mai nessuno (2).

Chi mai mi leggesse si renderebbe subito conto che è l'argomento stesso qui a mettere in questione le abituali classificazioni per argomento, questione per altro attuale dai tempi di Hegel (3). Gli amanti dei tradizionali generi letterari avrebbero invece il piacere di ritrovare la poesia (lirica, gnomica e didascalica), il saggio (soprattutto breve), l'aforisma o epigramma, il verbale burocratico, la cronaca, il diario, il romanzo epistolare, la fiaba, l'apocrifo e l'invettiva (4). Nonché altri consolidati stilemi di cui io stesso non conosco il nome ma che non di meno mi catturano ogniqualvolta mi metto, non so come, a scrivere. Perché io, come scrisse un giovane poeta (5), è un altro. Sicché ce ne sarebbe per tutti i gusti ma, inversamente, ogni univoco amante avrebbe prima o poi di che frustrare il proprio desiderio. Ed è questa ipotetica ipotesi a darmi un sadico innocente piacere.
Cominciai a tessere il 21 dicembre del 1977, più precisamente a restaurarmi un telaio. Fino a quel momento il mio vizio principale era stata la scrittura ma la tessitura mi parve allora una sorta di scrittura più incarnata e più leggibile
[>> 12.4]. In realtà le perversioni più antiche continuano a sopravvivere, ancelle o serve-padrone, accanto alle pulsioni più mature, come le immagini delle divinità più arcaiche trovano asilo nei templi del nuovo dio. Inoltre questa nuova scrittura, per quanto evidente per me, richiamava ulteriori postille, glosse e verbalizzazioni.
Sicché nel mio giornale di bordo dove annotavo il calcolo dei fili ed il peso delle fibre, dovetti riservare alcune colonne
[<<Fig.28 e 29] per evacuarvi tutte quelle associazioni che continuavano a frullarmi nel capo mentre che, abbracciato al telaio, praticavo la mia "arte scontrosa o mestiere" (6). Non solo, siccome mi era rimasto anche quell'altro vizio di leggere (che ora s'è per fortuna notevolmente ridotto), mi sono anche annotato su quelle stesse pagine tutte le frasi altrui che in qualche modo e a mio parere con la tessitura c'entravano (7). A volte basta sostituire soltanto una parola per ottenere intuizioni folgoranti, come insegna Lautreàmont[>> 2.6.0].
La mia grafomania non si è però limitata al solo giornale di bordo, debordava anche in forme epistolari rivolgendosi a personaggi più o meno storici ma tutti rigorosamente viventi. Infine fu anche necessario emettere varie bolle di accompagnamento per tentate vendite, ossia in occasione di mostre, cataloghi, articoli su riviste.
Oggi [1992], alla vigilia di una mostra offertami da Armando Nizzi, il quale continua ad accogliermi in Sincron dal lontano 1982 e con mio immutato stupore, mi sento in dovere di accostare alla collezione dei tessuti questa collezione di testi, il cui unico filo logico[<< 1.1] da me rivendicato è quello delle mie (poche) idee fisse. Il lavoro più grosso è stato quello di sfrondare questa strana, rizomatica pianta dai rami più imputriditi. Quelli secchi invece li ho lasciati perché possono sempre servire ad accendere fuochi.


1.5 descrizione di un monumento [<<Fig. 21]

Nella piazza principale di Schio c'è il monumento ai tessitori fatto erigere nel 1879 da Alessandro Rossi, il pioniere dell'industria tessile che in quel territorio aveva stabilito le sue manifatture: la famosa Lanerossi. I tessitori venivano direttamente dalla campagna circostante (erano ancora contadini, non proletari urbani). Trovo interessante che un capitalista dedichi un monumento ai propri operai: non mi sembra un caso molto frequente.
In vetta ad una stele sta la figura marmorea di un giovane in camiciotto che guarda una spola tenuta in mano, dietro di lui sono impilate alcune pezze di tessuto. Lo scultore si procurò il modello direttamente in fabbrica facendo posare un operaio. Anche questa scelta mi interessa per il suo realismo: all'epoca sarebbe stata più normale una qualche allegoria. Al di sotto del tessitore, sugli spicchi della stele stanno parecchie epigrafi, non so di chi ma immagino dello stesso Alessandro Rossi. Purtroppo ne ricordo una soltanto che recita:
Uguali dinnanzi al telaio
come dinnanzi a Dio
Un altro fatto che mi interessa è che il tipo raffigurato nella statua sarebbe il nonno della mia nonna, come dire un mio antenato personale, anche se in zona altre famiglie si attribuiscono la discendenza da quell'operaio. D'altra parte per il popolo di Schio quello è "l'omo": si dice "se vedemo da l'omo" per dire "ci vediamo in piazza". Insomma, finalmente m'intriga che, tradotto in italiano /l'omo/ vuol dire <l'uomo>.


1.6 descrizione di una città

A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via. le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili.
Dalla costa di un monte, accampati con le masserizie, i profughi d'Ersilia guardano l'intrico di fili tesi e pali che s'innalza nella pianura. E quello ancora la città di Ersilia, e loro sono niente.
Riedificano Ersilia altrove; Tessono coi fili una figura simile che vorrebbero più complicata e insieme più regolare dell'altra.Poi l'abbandonano e trasportano ancora più lontano sé e le case.
Così viaggiando nel territorio di Ersilia incontri le rovine delle città abbandonate, senza le mura che non durano, senza le ossa dei morti che il vento fa rotolare: ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma.

Calvino


1.7 descrizione di una esposizione

dal titolo: "Gioconda Variabile" (8). Alberto Schubert chiese all'Autore di scriverci una qualche didascalia, che spiegasse merceologicamente i prodotti ai suoi consumatori, assuefatti a tutt'altri manuatti.

Che cosa mostra questa mostra

1.7.1 Andiamo prima al mercatino del quartiere, superati i banchi di frutta, pentolame e ferramenta, incontriamo una bancarella di calzette, maglie e maglioni. Tutti questi articoli sono lavorati a maglia, con macchine che attorcigliano ed inanellano sempre lo stesso filo come fa la nonna con i ferri e il gomitolo.
Un'altra bancarella espone rotoli di stoffa, sono anch'essi fatti di filo ma in un modo completamente diverso: sono tessuti. mentre nella maglia c'era un filo unico, per fare il tessuto ce ne vogliono due: l'ordito e la trama
[>> 2.1]. Se compriamo qualche metro di stoffa, il mercante ci misura qualche metro di ordito e poi taglia con le forbici nel senso della trama.
Sul telaio per tessere si srotolano tanti fili paralleli (l'ordito) ancora indipendenti come i taglierini che escono dalla macchinetta per fare la pasta. Allora interviene la trama: un unico filo che, andando alternativamente sopra o sotto ad ogni filo (taglierino) li lega tutti insieme e costruisce così la superficie del tessuto.
Qualche millennio fa l'uomo (o la donna?) si spazientì di ricamare su e giù con questo filo della trama intorno ad ogni filo dell'ordito; attaccando una fila di anellini ad una bacchetta inventò il liccio. Infilò pazientemente tutti i fili dell'ordito in due licci sicché tirando su un liccio si alzavano insieme tutti i fili pari e poi con l'altro si alzavano i dispari.
Così bastava infilare la trama nell'apertura dell'ordito creata dai licci, sistemarla con un colpo di pettine (un po' più grande di quello per i capelli) e poi incrociare di nuovo l'ordito alzando l'altro liccio, passare ancora il filo della trama, pettinare e via daccapo.
La spola di filo della trama viene sistemata dentro una barchetta di legno che viaggia avanti e indietro tra le successive aperture dell'ordito, proprio come un treno-navetta che faccia la spola tra due stazioni.
Il tessitore palleggia la navetta da una mano all'altra mentre muove i licci con i piedi, coi pedali; il telaio meccanico fa a meno del corpo umano ma si muove esattamente allo stesso modo del telaio a mano.

1.7.2 Torniamo dunque al mercato: la prossima bancarella espone biancheria ricamata. Sono sempre dei tessuti ma le decorazioni sono state aggiunte dopo, cucite sopra. Anche sull'altro banco vediamo delle figure ma queste sono stoffe stampate (dopo e sopra) come i rotoli di carta da parati del banco vicino. Al banco dei tappeti siamo di nuovo di fronte a tessuti ma la trama e l'ordito sono sepolti da tantissimi fiocchetti annodati uno per uno su ogni filo dell'ordito: dopo ogni passaggio della spola ci si ferma per annodare una fila di fiocchetti colorati che formano le figure pelose del tappeto.

1.7.3 Per cominciare finalmente a parlare di arazzi bisogna lasciare il mercato per entrare in un silente museo. Dopo varie sale tappezzate di quadri incontriamo finalmente dei tappeti attaccati ai muri. Guardandoli più da vicino ci accorgiamo però che la superficie non è pelosa, dunque le figure non sono formate dai fiocchetti e neanche ricamate come alla bancarella della biancheria, né infine dipinte come al banco delle stoffe stampate. Sono comunque dei tessuti perché nelle parti più consunte si riconosce chiaramente l'incrocio della trama e dell'ordito.
E' successo che il solito tessitore, sul solito telaio, si erta stufato di far andare la spola avanti e indietro lungo tutto l'ordito e ha pensato di riempire una parte di ordito (avanti e indietro) con un colore di filo e poi un'altra con un altro colore. Così un po' alla volta ha fatto crescere tutto un disegno, insieme con lo sfondo, come si costruisce un muro di mattoni una fila dopo l'altra
[>> 2.4.1], oppure come un immagine video costruita da un punto luminoso che fa la spola velocissimo per tutto lo schermo[>> 10.13.2].
Guardiamo dietro l'arazzo e vediamo che il rovescio è esattamente uguale al dritto, salvo i capi dei fili colorati della trama che sporgono un po' a confonder l'immagine.
Ora torniamo alla sala dei quadri e proviamo a rivoltare anche un dipinto: ci troviamo nuovamente di fronte a un tessuto, una tela che il pittore ha ingessato e ricoperto di colori a olio. Ma il pittore non si è limitato a intervenire sul tessuto aggiungendovi i suoi materiali e le sue figure, come il mosaicista sopra un muro bell'e fatto...
Colbert, il ministro del Re Sole, vietò con decreto alla manifattura dei Gobelin di tessere arazzi senza il disegno di un pittore patentato, proprio come oggi è proibito edificare senza un progetto firmato dal geometra iscritto all'albo
[>> 10.18.2].
Naturalmente è possibile progettare un arazzo come un'architettura perché sempre si costruisce con strutture tecniche e materiali, oltre che con immagini e belle forme. Ma siccome la firma è molto importante
[>> 10.11.2], basta offrire la riproduzione tessile del disegno di un Maestro il quale non sa giustamente nulla di telai perché la sua arte è un'altra.

1.7.4 Dopo il mercato e il museo entriamo finalmente (ma non senza deja vu) in questa galleria d'arte.
Ci sono degli arazzi, li ho fatti io con il solito telaio.
L'ordito è di cotone bianco ma di solito non si vede perché è ricoperto dai fili della trama. Per la trama ho usato fili di lana colorata, alcuni li ho tinti da me facendoli bollire con certe piante e certi mordenti, altri li ho comprati bell'e tinti, altri ancora hanno semplicemente i colori delle pecore: bianchi sporchi, marroni, grigi. Come trama ho usato anche ciuffi di lana neanche filata, forse c'è rimasta qualche pagliuzza.
Per un arazzo soltanto, invece, ho tagliato a strisce un rotolo di tela per pittura: dalla parte gessata è bianca, dal didietro più scura. Ho usato queste strisce di tela come trama, seguendo un po' la tradizione dei tappeti di stoffe stracciate (pezzotti). Proprio in quest'arazzo si vedono bene i fili dell'ordito, uno di questi è blu e così si vede meglio (9)
.
Per i motivi spiegati al museo, ho cercato un quadro molto famoso e l'ho copiato su un foglio di carta largo quanto l'ordito del telaio, tracciando soltanto i contorni che dividono i chiari dagli scuri (bianco/nero)[<<fig. 20]. Se ci avessi messo anche i colori si chiamerebbe il cartone dell'arazzo. Poi ho appoggiato questo foglio sotto l'ordito teso e ancora nudo e col pennarello ho segnato tutti i punti sui fili.
Ogni volta che aprivo i licci per far entrare una trama, incontravo qualche segno di pennarello che mi indicava su quale filo dell'ordito dovevo far uscire la spola, invertire i licci e farla tornare indietro. Quando il segno di confine faceva una riga dritta sullo stesso filo dell'ordito, si vede nell'arazzo un buco come un'asola: è il giro di boa della trama che diventa visibile (come nei tessuti kilim).
Nel primo arazzo ho cercato dei fili colorati che somigliassero un po' al dipinto originale ma dopo, pur costringendomi sempre ai segni di confine, mi sono lasciato prendere la mano dai fili e dai colori della trama.
Perché giammai mi sarei dedicato alla tessitura se avessi creduto che certi atti sono puramente esecutivi. Ma tenterò di giustificarmi con l'autorità di Benjamin:
"...si dovrebbe riflettere sul filo di Arianna. Quanto piacere nel semplice atto di srotolare un gomitolo. E questo piacere ha una profonda affinità sia con il piacere dell'ebbrezza che con il piacere della creazione. Procediamo, scoprendo non solo le tortuosità della caverna nella quale abbiamo osato inoltrarci, ma al tempo stesso proviamo questa felicità di scoprire solo in virtù di quell'altra felicità ritmica
[>> 2.3.2], consistente nello srotolare un gomitolo. Una tale certezza del gomitolo abilmente arrotolato che noi disfiamo - non è forse questa la felicità di ogni produttività, o almeno di quella che assume la forma della prosa?"
Adesso non è il caso di raccogliere anche la provocazione finale di Benjamin sulle infinite analogie tra scrittura e tessitura[>> 2.1.2] perché fin qui ho cercato di spiegare i miei arazzi con le parole più semplici.
Ma spero di riuscire a venderli lo stesso.


1.8 canto popolare

Estratto da un repertorio di canzoni trovato per strada, senza alcuna indicazione della fonte. Risalirebbe a qualche Jaquerie, moti premoderni degli operai tessili, come in Italia furono i Ciompi.

Per cantar "Vieni Creator"
voi portate manti d'or.
Noi li tessiamo pei grandi della Chiesa
e noi pover non abbiamo la camicia.

Tessitor noi siam
e camicia non abbiam.

Per restare al poter
vesti in seta occorre aver
Noi le tessiamo pei grandi della terra
e nudi finiamo sotto terra.

Tessitor noi siam
e camicia non abbiam

Il nostro regno arriverà
quando il vostro finirà.
La morte al vecchio mondo noi tessiamo
crescer la rivolta noi sentiamo.

Tessitor noi siam
mai più nudi noi andrem
.


1.9 chiusa

Fin dall'antichità i tessitori hanno trasmesso un insegnamento rivoluzionario in modo curioso e con forme più o meno bizzarre, mistificatrici e indirette. Una storia troppo conosciuta per studiarla seriamente.

Jorn


note

1 Adorno: La verità è costellazione. ^

2
La prefazione dei libri è quella cosa che gli autori scrivono dopo, gli editori stampano prima ed i lettori non leggono né prima né dopo. Chi l'ha detto? ^

3
Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, segreto modello diquesto volume, insieme con la Fisiologia del Gusto di Billat-Savarin. ^

4
Ma pure il best seller assoluto, la Bibbia, è un coacervo di cronache, lettere, miti, canzoni, leggi, visioni, proverbi e protocolli rituali. Lo stesso titolo /Bibbia/ significa infatti <i libri>. Nondimeno si ammette che il loro argomento è quanto di più unitario si sia potuto mai escogitare: il dio unico. ^

5
Rimbaud. ^

6
Thomas. ^

7
Del resto pure nei secoli andati i tessitori tenevano un libro detto "dei tacamenti", dove notavano le loro armature. Il fatto è notevole perché denota che questi tessitori non erano analfabeti, come la maggior parte degli altri altrigiani loro contemporanei. Per questa loro padronanza della scrittura, inusuale tra le caste meccaniche, sono da paragonarsi ai tipografi. Alcuni di essi furono in odore di eresia, peccato indotto facilmente dall'uso personale della scrittura. Nei loro libri si raccolgono informazioni intorno alla costruzione dei loro tessuti unitamente a osservazioni di ogni genere, dal privato al cosmico. ^

8
I titoli del Nostro hanno sempre almeno due significati, per motivi di economia[>> 11.2.3.n]. In effetti la mostra consisteva in otto varianti cromatiche e materiche dello stesso cartone: la Gioconda, wharolizzata dal Nostro secondo criteri non pop ma riscontrabili in 11.2.2. Siccome poi Lui si diverte a cambiare i colori e le fibre, questa variabilità è appunto gioconda. ^ [Vedi pure nel sito Web, sotto Arazzi Giocondi]

9
Un filino blu scendeva vericale dal suo ciglio, come una riga punteggiata di lacrime: il celebre pianto della Gioconda, per lo scorno di essere messa a tappeto. ^


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