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CONFESSIONI DI UN ARTISTA EQUIVOCO

Da sempre ho praticato le utopie - e non ho alcun desiderio di smettere.
Mi sono sempre definito "tessitore" perché in effetti, per più di venti anni, il mio principale mezzo tecnico-espressivo è stato il telaio per la tessitura a mano. Ho avuto perciò tutto il tempo di rendermi conto di quanto sia equivoca questa professione, sia dal punto di vista teoretico che da quello pratico. Dato questo strumento che è il telaio, sarei forse un Artigiano, più o meno tradizionale o sperimentale. D'altra parte, i miei prodotti si distribuiscono come opere d'arte, arrivano persino in qualche museo che ha nulla a che fare con la tessitura, perciò sarei forse un Artista. E' ben vero che gli studenti in Belle Arti farebbero bene ad andare a bottega da un verniciatore, o da uno scalpellino, ma non credo neppure che l'Artista sia un "Artigiano con Qualcosa di più".
Credo che il mio equivoco Artista/Artigiano non sia dovuto un fatto personale ma a una generale scissione della attività umana, che è fondamentalmente unica (e, d'altra parte, nemmeno è separabile dall'universale attività della natura). Sono convinto che questa scissione tra Creativo ed Esecutivo, tra Gioco e Lavoro (e inoltre, tra Umano e Naturale), sia una scissione storica e politica, è dunque provvisoria.
Per quanto mi riguarda, cioè come tessitore, non potrei nemmeno definire il mio telaio come "mezzo tecnico-espressivo". Altrimenti, si perpetua quell'equivoco che esista un processo lineare, processo che avrebbe la sua origine in un Autore, il suo mezzo in una Tecnica per trasformare certi Materiali e il suo fine in un'Opera, con la eventuale appendice di un Pubblico. L'eroe di questa favola romantica è quel famoso libero Soggetto, l'Imprenditore assoluto, in una parola: l'Artista. E il valore dell'Opera risiederebbe in quella essenza creativa individuale, che l'Artista esprimerebbe dall'intimo di sé, così come un tubetto emette il dentifricio (per non dir peggio). Sono convinto che anche questa illusione sia storica e politica, dunque anch'essa è provvisoria. Le cose, in realtà vanno altrimenti, perché pure l'Autore già funziona come un Mezzo, il Mezzo e i materiali funzionano da Autori, anche il Pubblico è Materia dell'Opera e dunque, anch'esso è Autore.
L'attività, artistica e non artistica, umana e non umana è fondamentalmente unica. Questo implica in particolare, che non c'è alcuna differenza essenziale tra i cosiddetti Artisti e tutte le altre persone cosiddette Normali. Altrimenti, varrebbe l'altro equivoco, secondo il quale gli Artisti non sarebbero Normali: individui magari eccezionali ma che, in sostanza, si occupano di cose non pratiche, magari belle ma di scarsa utilità. In realtà, nessuno mai fa nulla di "normale": al di là dell'apparenza economica, qualsiasi occupazione ha un fine "artistico". Un qualsiasi lavoro poi, viene pagato in denaro, ma anche questo è un gioco artistico, tra i molti che si sono inventati. Sembra poi che col denaro ci si compri di che sopravvivere, ma in realtà, non c'è alcuna differenza tra un supermercato e un museo. Potremmo anche dissentire da Andy Wahrol, quando lui afferma che "la cosa più bella a Firenze è un Mac Donald", ma resteremmo pur sempre nel campo delle opinioni artistiche. Forse, brucare l'erba spontanea delle praterie sarebbe "normale" e non "artistico". D'altra parte, perché dubitare di un'arte tra gli erbivori selvaggi?
Il conclusione, l'equivoco termine di "Arte" attualmente denota il libero pensiero di un progetto creativo individuale. L'Arte sarebbe così l'essenza della natura umana, contrapposta e separata da ogni altra natura bruta. Da tali premesse, ci si aspetterebbe che l'Arte, questa eccellente qualità, fosse appunto patrimonio della nostra illustre specie. Invece, il termine "Arte" non si applica affatto l'universalità delle attività umane ma è ristretto a rarissime eccezioni. Siamo in molti ad essere convinti che questo equivoco sia storico e politico. E' dunque provvisorio: "là dove tutto è arte, nulla lo è" (Bruno Munari).
LG it.99.09

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