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Tessere in carcere nel 1600

 Leonora Christina Ulfeld, figlia morganatica del re Cristiano IV di Danimarca, fu imprigionata per 22 anni, dal 1663 al 1683, in una torre del Castello Reale di Copenhagen. Era accusata di complicità in una improbabile congiura, ordita da suo marito, il potentissimo conte Corfitz Ultfeldt. Nella cella della torre, a Leonora era proibito ogni oggetto con il quale potesse tenersi occupata. Lei trovò il modo di scrivere un diario e degli inni religiosi, fabbricandosi l'inchiostro e recuperando pezzettii di carta.Quel suo diaro è diventato un classico della letteratura danese.
 Leonora qui racconta i suoi ingegnosi espedienti per tessere. Si costruì due piccoli telai a tensione: il primo era a maglie di filo, il secondo telaio si chiamerebbe oggi, impropriamente, "pettine-liccio". Ma Leonora non avrebbe mai battuto la trama con la sua "tavoletta bucherellata": usava a questo scopo un vero e proprio pettine.
 In merito e demerito al "nonpettine-liccio", vedi anche in:
Operatori e Operati Sociali
La Penelope del Lesso

I passi riportati di seguito sono tratti da una versione italiana del diario: "Memorie della Torre Blu", Adelphi 1971. Come al solito, abbiamo aggiustato qualche impreciso termine tessile.


Presi alcuni rametti, li scortecciai con un pezzo di vetro, li tenni in acqua per amorbidirli e poi li misi sotto un peso (usando una tavola che veniva adoperata per trasportare fuori la spazzatura) finché non divennero piatti. Li misi poi insieme e ne venne fuori un pettine per tessere. Dopo varie trattative, il carceriere mi passò di nascosto del filo grosso che servì per l'ordito. Il filo per la trama di seta, lo ricavai dalle calze nuove che mi avevano concesso. Un subbio, ricavato dalla parte più grossa si un ramo, era fissato alla stufa, l'altro subbio lo tenevo legato alla vita. La donna (che divideva la cella con me) mi aiutò a infilare l'ordito; questo lavoro le piaceva. (pag. 106)

... avevo messo da parte certi piccoli avanzi di filo di seta, troppo corti per poreci lavorare e qualche ciuffo della seta che havevo sfilato dalla camicia da notte e dalle calze. Mi ero costruita una specie di carda con tante spille fissate a un pezzo di legno, con questo aggeggio cardavo quegli avanzi di filo sicché poi li potevo filare. (pag 127)

... tessevo legando alla sedia sistemata sul tavolo il subbio di ordito, con quelle fettucce che mi ero fatta e con nodi scorsoi, che riuscivo a sciogliere con uno strappo: non appena sentivo infilare la chiave nella porta esterna, cioglievo quel subbio e liberavo quell'altro che tenevo fissato alla vita: pria che la porta esterna fosse aperta era scomparsa ogni cosa. Mi ero anche costruita la tavoletta bucherellata che consentiva di prepararmi da sola l'ordito (prima avevo soltanto dei licci che avevo costruito con il filo). Ero pure riuscita ad avere un vero pettine. (pag 129)

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