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IL "PORO" ENEA

(poro o "povero", in vernacolo amiatino, accompagna normalmente il nome dei defunti)

Il telaio è un prototipo del cosmo
ancora più antico di ogni parola.
Tesse lo spazio insieme con il tempo
e dipanando i fili della storia
mette un po' d'ordine nell'illusione.

Ogni telaio trama le sue storie
che gli restano poi stampate dentro.
Se le macchine non hanno un anima,
ne assorbono però da quelli uomini
che le animarono coi loro corpi

Nei sottoscala del mondo e nei musei
s'incontrano i telai di un altro tempo
naufraghi sulla spiaggia del presente.
Ma per le sabbie di questa clessidra
chi siamo per davvero, noi, e quando?

Pur portandosi un gran nome latino
(un bel nome da papi, eroi e conti)
il Poro Enea era un montanaro:
tirato su a ricotta e polenta
ma solo di farina di castagne.

Fu chiamato dal Re per il soldato,
che gli imparò ad uccidere i cristiani
finché restò ferito dalla guerra.
Nell'ospedale lì, c'era una monaca
che aveva forse gli occhi troppo belli.

Pare che lei non lo vedesse neanche,
che Poro Enea non ci vedesse più
e guerra son: fucili sottomano.
Lei restò fredda con gli occhioni aperti,
lui restò in carcere per omicidio.

In galera ci stava dei telai,
Poro Enea ne aveva già ben visti
dentro le case della sua montagna:
con le donne a ritesserci le tele
per i corredi delle nuove spose.

Mestiere donnesco, la tessitura,
però dentro di donne non ce n'era
oltre a quelle graffite per i muri.
Tra l'incrocio dei fili e delle sbarre,
Poro Enea divenne tessitore?

Liberato, se ne tornò in montagna
Qui fu una specie di "eroe cuturale":
perché fece impresa di nuovi telai.
e poté pure prendersi una sposa
che s'era presa di quest'omo strano

Poro Enea tesseva le coperte
più grandi di tutta la montagna.
La coperta gli usciva tutta intera:
non si doveva giuntare le striscie
come coi vecchi e stretti telai

Le spose gli portavano la lana
tutta filata delle loro pecore
perché lui ci tessesse quei disegni
che ci vogliono quando si fa casa
e ci si mette a dormire insieme.

Gli stessi segni di quando si nasce
e tra i quali s'è stati concepiti.
Sempre i disegni di quel sogno a quadri
che, alla fine, accompagnerà via
chi può morire dentro al proprio letto.

Segni del mondo come (poi) sarebbe
senza guerre, ospedali né galere.
E c'erano pure i segni del pane:
righe un po' pazze, come tante spighe
secondo tutti i colori del vento.

Le donne portavano gomitoli
al Poro Enea, tutti scompagnati:
riciclavano i fili delle calze
perché la lana era ancora buona
soprattutto per lievitare il pane.

Sicché, nelle lunghe culle di legno
dove gonfiava la sua gravidanza,
l'impasto era covato in quelle fasce
coi colori che combinava Enea.
E questo per il pane della casa.

Il forno però stava in piazzetta
bastava a tutti perché, di farina,
da tante madie, ne usciva pochina.
E, quando usciva, era proprio festa,
dopo tutti quei piatti di pulenda.
.
Poi tesseva certe stoffe di città
con il congegno detto "tira-licci":
che gli sgranava giù la tapparella
di un rosario a schede perforate
con dei pirozzi piantati nei buchi.

Però era solo la mano di Enea
con l'altra mano e tutti e due i piedi
che facevano insieme da motore
la mano e l'altra mano
il piede e l'altro piede

(...)

11 nov 1995

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