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ARTE TESSILE

relazione al convegno L'artigiano tessile [?]
Leumann (TO) 21 settembre 1996

Sono un artista, è vero: lo confesso
ma con alte ambizioni artigianali.

Adesso dovrei relazionare in qualche modo sulla "Arte Tessile", perché questo era il compito assegnato. Di fronte a un tema così generale, avrei potuto comodamente impanare e rifriggere un capitolo de "L'Essere e il Tessere", il mio nuovissimo libro sulla tessitura. Tale capitolo appunto si intitola "L'arte per me". Il quale me, essendo a quanto pare tessitore, tratta in quel posto precisamente dell'arte tessile (chiedo scusa se in quest'ultima frase risuona un velato consiglio d'acquisto).
E' impossibile però ripetere onestamente le stesse risposte in tempi diversi. Scripta manent, come al solito, ma verba volant, possibilmente. Ho dunque cercato di pensaci daccapo e così, per svolgere il tema famigerato dell'arte tessile, sono ricorso all'espediente scolastico classico del dizionario. Secondo il dizionario, si chiamano /arte/ gli "accorgimenti e mezzi adatti per fare un lavoro o produrre un effetto."
Temo però che, nel titolo "arte tessile", si volesse sottintendere una qualche tessitura un po' speciale, diciamo "creativa", per il momento (senza andare a vedere la voce /creazione/, per le definizioni della quale, vale sempre il consiglio acquisti elargito poco fa).
Senza nemmeno uscire dall'/arte/ si arriva presto, nel dizionario, alle "belle arti, che rappresentano il bello coi suoni, la parola, i disegni , le figure, più specialmente Pittura, Scultura e Architettura". Qui, mi dispiace, la tessitura non è citata, ma potrebbe forse rientrare tra le "minori nelle arti belle: Ceramica, Glittica, Oreficeria ecc." In quest'ultimo eccetera, appunto, però non è sicuro. Perché, spulciando sempre lo Zingarelli, compare anche la distinzione tra "arti liberali, le non servili, intellettuali" e "arti meccaniche" tra cui, nell'elenco, esplicitamente rientra l'arte "delle stoffe".
Come si è appena visto, con la voce /arte/ non potevo riempire molte pagine. Sicché ricorsi subito alla voce /tessile/, ahimè brevissima. Tessile: "aggettivo che concerne l'arte del tessere". E qui si citano "industrie , materie e fibre tessili" ma nulla di più spirituale, tanto per farci capire che l'arte tessile non oltrepassa i suddetti "accorgimenti e mezzi adatti per fare un lavoro...".
Che disdetta per i soggetti dell'arte tessile, cioè per i cosiddetti artisti tessili! E' vero però che l'Artusi (volevo dire: lo Zingarelli) è un testo datato: e questa edizione (a me carissima) risale al '23, anno in cui nacque mio padre. Ma il mondo va avanti o, per lo meno, si gira. Da allora (oltre a me stesso) si sono aggiunti alcuni interessanti capitoli alla storia dell'arte (tra cui Dada, Arte Povera, Nouveau Realisme...). Per cui non dovrebbe sussistere più alcun tabù intorno ai materiali utilizzabili dalle belle arti.
Se dunque può entrare in museo la spazzatura più immonda, perché non anche le "materie e fibre tessili"? Già, perché? E' forse un ingiusta apartheid? Ed è allora sufficiente che gli artisti tessili, esclusi dalla Biennale (poniamo) di Venezia, si consolino con la Biennale (poniamo) di Losanna, dedicata delle tapisseries?
Lo Zingarelli aveva i suoi motivi, quando condannò l'arte tessile tra i gironi delle "servili arti meccaniche". L'arte tessile deve scontare un peccato d'origine, che ancora la esclude dall'Eden beato delle belle arti. Questo peccato è il telaio. Caro (o, più sovente, cara) artista tessile, hai voglia a travestirti, a far salti mortali, a dimostrare che tu puoi "creare" senza telaio. Di quel tuo vecchio telaio, si sente ancora l'odore. Con l'aggravante che è considerato un odore alquanto femminile. Ma qualunque sia il sesso, è pur sempre una macchina, una roba da schiavi. Mi tornano in mente I Promessi Sposi: "Nel mezzo, vile meccanico!" ...cedi la strada ai signori e vai nel rigagnolo (che sarebbe la fogna, nella Padania del 1600).
Ora, da un punto di vista logico, è difficile capire perché mai un telaio debba essere più impuro e plebeo di un pennello, di un pianoforte o, al limite, degli attrezzi e materiali linguistici che usa il poeta per farci (in Greco: poièin) le sue poesie.
Ci può qui aiutare uno scritto famoso di Leonardo, quello che celebra l'eccellenza della pittura rispetto alla scultura. Secondo Leonardo, lo scultore è sempre sudato, sbracato, coi calli sulle mani, il suo cantiere è pieno di polvere e di rumore. Mentre invece il pittore ha panni fini, lavora con gesti leggeri in ambienti puliti, dove riceve gli amici e le dame. Si fa della musica, si può prendere il tè senza sputare schegge di marmo.
La differenza di casta tra artisti non è però soltanto igienica. Le gerarchie tra gli uomini si richiamano sempre a presunti poteri spirituali. Nelle arti più belle ci sarebbe dunque un atto puramente intellettuale che precede ogni esecuzione. Quest'ultima è un fatto impuramente materiale, ai bassi servizi di quella intuizione (spirituale, addirittura). Intuizione che, come diceva Zingarelli (o magari Platone, Benedetto Croce, eccetera) è l'intuizione del bello.. L'esecuzione poi lo rappresenta, sporcandosi più o meno le mani con i materiali, gli attrezzi e le macchine.
Questa divisione tra "guardare le idee" e "fare le cose" è una trovata vecchissima, eppure ne era convinto persino Duchamp. Mi dispiace per gli ammiratori di Duchamp, ma qui si vede quanto il Surrealismo sia stato un movimento reazionario.
Perché proprio reazionario? Nel senso preciso di un movimento che arriva dopo una rivoluzione e ristabilisce il potere precedente. Questo potere, nel nostro caso, era lo statu quo dell'arte: quella bella, quella dello Zingarelli, di Platone, di Croce e, da allora in poi, di Duchamp, ormai ammesso alla storia dell'arte e alle aste di Christie's (sia qui detto in inciso, questo Duchamp non ha mai dipinto, lavorato o rubato per campare: insomma, era ricco di suo).
La rivoluzione sconfitta era quella di Dada. Dada a suo modo tentò di farla finita con l'arte, cioè con la famosa intuizione spirituale che precede e domina il fare. Per Dada, si trattava semplicemente di fare. Ma siccome, purtroppo, anche i Dadaisti erano giovani di buona famiglia, si limitarono nel loro fare al solito campo ristretto delle belle arti (e del sesso, probabilmente). Tra di loro non c'era un fabbro, non un contadino e, certamente, neanche un tessitore.
Allora dovremmo allontanarci ancora una volta dalle belle arti? Proprio ora che si stava cercando di farci entrare, come Cenerentola, la tessitura? Una zucca, quattro topi e il gioco è fatto: il Principe la riconoscerà. Perché, diciamolo, tutte quelle altre hanno oramai il piede troppo grosso sicché non seducono quasi più nessuno. Ottengono solo il rispetto dovuto alla ricchezza delle loro quotazioni.
Questo rispetto per la ricchezza non è scandaloso ma logico. Le gerarchie sociali dei valori sono cambiate nel tempo: gli alberi genealogici sono stati sostituiti dalle carte di credito. L'aristocratico antico era meglio degli altri perché "bello e buono" (di buona famiglia, buona educazione), l'aristocratico moderno è semplicemente ricco. Non deve più mostrare virtù ereditarie, gli basta di esibire status symbols. Così la rappresentazione del bello è stata soppiantata dalla rappresentazione della ricchezza.
Perciò il telaio puzza di povero, di contadino e di sottosviluppo: tutto il contrario dell'attuale gerarchia. Ma il segreto delle rivoluzioni non sta nel rovesciamento dei valori: non basta celebrare Messe nere. Sempre di Messe si tratta: la perversione conferma la regola. Nel telaio, oltre alla puzza, c'è nascosto dell'altro: c'è il gioco tra il corpo e la macchina, tra la regola il caso, tra l'uomo e la fortuna. "L'uomo ordisce e la fortuna tesse", così si diceva una volta, lo sa persino lo Zingarelli (alla voce /tessere/).
Il telaio può fabbricare quadri, da appendersi ai muri nelle case private. Può sconfinare nell'arredo urbano e addirittura tornare a rivestire i corpi di quei costumi che non mancano mai ma che sono per ora ridotti alle griffes, cioè ai cartellini del prezzo. Il tessitore (pardon: artista tessile) ha cosi il suo da fare. Ma non dovrà accontentarsi di un posto da rappresentante dell'intuizione (la famosa intuizione del bello). La tentazione della bellezza va superata: va offerta al pubblico la tentazione del fare.
Sicché il telaio può essere l'arma dell'avanguardia più estrema, tanto per usare quei termini bellici così cari all'arte militante. I suoi alti ufficiali disprezzeranno, diranno che è una vile ritirata: ai tropici, in campagna, nel misticismo ecologico e orientale. Ma ognuno si crede al centro di tutto.
L'arte tessile sarà primitiva ma non importa: sta cominciando. Cari eventuali artisti tessili, non vergognatevi di essere artigiani. Il problema epocale, se c'è, è tutto lì. Nei momenti del più buio sconforto, vi soccorra il mistico Silesius: "Dove ti affanni mai: non vedi che l'Eterno nel cuore tuo profondo si nasconde?
E il cuore del tessile, scusate se insisto, è il telaio.
1996
Sull'argomento, in TESSIMILIAcultura
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eccetera

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